Tutti conoscono l'importanza che ebbe nel Rinascimento, pur cosi ricco di figure insigni, quell'uomo geniale e complesso che fu il veneziano Pietro Bembo (nato il 20 Maggio 1470). La sua vita fu molto agitata sia materialmente che spiritualmente. Malgrado tutto però, egli in fondo ebbe un carattere serio. Da Venezia passò col padre a Firenze. Tornò a Venezia, studiò a Padova, poi a Messina col famoso grecista Costantino Lascaris. Fu qualche tempo a Ferrara, dove conobbe l'Ariosto ed ebbe l'amicizia del principe Alfonso d'Este, amicizia poi guastata per l'amore (corrisposto) del Bembo per la moglie del Signore, la famosissima Lucrezia Borgia. (Della famiglia spagnola che aveva già dato il papa Calo listo III. Il nipote di questo, Rodrigo, fu poi papa Alessandro VI. Prima di essere papa aveva avuto due figli, il crudele e celeberrimo Cesare, detto il Duca Valentino, che ispirò il « Principe » del Machiavelli, e la bellissima e corrotta Lucrezia). Nel 1505 troviamo il Bembo a Roma, ma l'anno dopo è alla corte di Urbino, dove restò, comprese varie interruzioni, per sei anni, amatissimo dal principe Guidobaldo. Perciò egli viene introdotto come interlocutore nel notissimo dialogo « Il Cortegiano » del Castiglione Nel 1512 è a Roma di nuovo e nell'anno successivo vien nominato segretario del papa Leone X, appena eletto. Convisse da allora sempre con una bella e colta amante stabile, la Morosina, dalla quale ebbe tre figli. (Non era ancora prete, né Cardinale come fu poi, dopo morta la Morosina nel 1535). Da Roma fu inviato ambasciatore nella natia Venezia, poi fu a Ravenna. Nel 1520, malfermo in salute e deluso da noie d'ufficio e d'aItro genere, si stabilì per qualche anno a Padova, dividendo il suo soggiorno fra il palazzo di via Altinate e la sua villa a Santa Maria di Non (lati. namente « Nonianum). Nel 1524 però lo ritroviamo a Roma, nel 1529 a Bologna, nel 1530 torna a Venezia, dove ebbe incarico dal Consiglio dei Dieci di continuare la Storia di Venezia del Sabellico. Come si vede da questo particolare, il Consiglio dei Dieci non fu affatto una specie di suprema polizia segreta, ma era il vero « capo dello Stato », essendo il Doge un semplice rappresentante ufficiale della Repubblica. Naturalmente il Consiglio dei Dieci poteva far paura a tutti quelli che non avevano la coscienza a posto, a cominciare dal Doge stesso, se ne era il caso. Il Bembo poi si trova ancora a Roma, dove fu ordinato sacerdote ed ebbe l'investitura cardinalizia da papa « Oh bella a' suoi be' dì Rocca Paolina Cioè fra il latino medievale della Chiesa e quello elegantissimo del Bembo, che il papa umanista apprezzava molto). Il Bembo, salvo brevi assenze, restò ormai sempre a Roma facendo vita ritirata e diversa dalla sua di prima e dalle licenziose abitudini dei tempi. Anche questa è una valida prova della fondamentale serietà del suo carattere. Fu nominato vescovo di Gubbio nel 1541 e poi di Bergamo nel 1544, mantenendo però la residenza a Roma. Si parlava anche d'una sua possibile elezione al pontificato, ma egli morì prima di Paolo III, il 18 Gennaio 1547. Ebbe pure una grande importanza nella questione della lingua, cioè sull'uso regolare e sul prevalere di una unica lingua in Italia (con fondo, si capisce, toscano). A questo proposito basta ricordare la menzione di lui che fa l'Ariosto nell'Orlando furioso (canto 46, str. 13). « ......Pietro Quell'uomo di mondo e di corte, umanista e poeta, e insieme ecclesiastico e cardinale, presenta nella sua vita dei contrasti che si spiegano con le fortunose condizioni dell 'epoca in cui visse. Passò gli anni forse più tranquilli proprio qui a Padova. Vediamo qualche cenno che egli fa nelle sue lettere al piacevole soggiorno patavino. In una lettera del 1522 a Mons. Federigo Fregoso, arcivescovo di Salerno che allora si trovava in Francia, scrive: cc Sommi fermato a Padova per istanza [cioè: per fermarmi], città di temperatissimo aere, [beato il Bembo che aveva quest'opinione] in sé molto bella e sopra tutto e comoda e riposata, ed attissima agli ozi delle lettere e degli studi, quanto altra che io vedessi giammai, anzi. per molto più. E stommi ora in città, e quando [cioè di quando in quando] in villa, di tutte le cure libero ... ». In un 'altra lettera inviata a Roma a messer Agostin Foglietta, in data 6 Maggio 1525, descrive la deliziosa vita nella sua villa sul Brenta: c( Giunto che io in Padova fui, visitai gli amici, e da essi visitato, me ne son venuto qui alla mia villetta, che molto lietamente m 'ha ricevuto, nella quale io in tanta quiete, in quanto a Roma mi stetti e travaglio e fastidi [cioè: quanto a Roma stetti fra travagli e fastidi]. Non odo noiose e spiacevoli nuove. Non penso piati [cioè: contese e liti legali]. Non parlo con procuratori. Non visito auditori di Rota [giudici del famoso tribunale ecclesiastico di Roma, i cui auditori funzionano a turno e per questo si chiama Rota, cioè "ruota"]. Non sento romori, se non quelli che mi fanno alquanti lusignoli d'ogn 'intorno gareggiando fra loro,. e molti altri uccelli, i quali tutti pare che s'ingegnino di piacermi con la loro naturale armonia. Leggo, scrivo, quanto io voglio; cavalco, cammino molto spesso per entro un boschetto, che io ho a capo dell'orto. Del quale orto, assai piacevole e bello, talora colgo di mano mia la vivanda delle prime tavole per la sera, e talora un canestruccio di fragole per la mattina; le quali poscia m'odorano non solamente la bocca, ma ancora [anche] tutta la mensa. Taccio che l'orto ed ogni cosa tutto l' giorno di rose è pieno. [Si ricordi che la lettera è scritta in Maggio]. Nè manca oltre a ciò che con una barchetta, prima per un vago fiumicello, che dinanzi alla mia casa corre continuo, e poi per la Brenta, in cui dopo un brevissimo corso questo fiumicello entra, e la quale è bello ed allegrissimo fiume, ed ancora essa da un'altra parte i miei medesimi campi bagna, io non vada la sera buona pezza diportandomi, qualora le acque più che la terra mi vengono a grado. In questa guisa penso di far qui tutta la state e tutto l'autunno; tale volta fra questo tempo a Padova ritornandomi a rivedere gli amici per due o per tre dì, acciò che per la comparazione della città la villa mi paia più graziosa»). La testimonianza d'un uomo come il Bembo, non solo colto e intelligente, ma che ebbe anche una grandissima autorità presso i suoi contemporanei, è di gran peso per confermare ancora una volta una cara e un po' misteriosa caratteristica di Padova e del suo territorio: l'invito alla distensione, al vivere tranquillo, al non prendersela troppo per nessuna cosa. E' l'aria, è il clima un po' molle e pesante, è la tradizione? Chi può rispondere a tali domande? Forse è un po' tutto insieme. |
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